No all’uso esclusivo di un bene comune a favore di un singolo condomino

No all’uso esclusivo di un bene comune a favore di un singolo condomino

I privati non possono pattuire un diritto reale di uso esclusivo su di un bene comune, perché diversamente si genererebbe una figura di diritto reale non contemplata dalla legge e si svuoterebbe il contenuto essenziale del diritto di proprietà degli altri condomini su una parte comune. Verrebbe, così, violato il principio generale di uso paritario del bene condominiale di cui all’art. 1102 c.c. e si violerebbe il principio del numero chiuso dei diritti reali e della loro tipicità. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione a SS.UU. con la sentenza n.28972 dd. 17/12/2020.

Nella prassi condominiale si è discusso per anni, con orientamenti spesso contrapposti tra dottrina e giurisprudenza, se sia possibile costituire un diritto reale d’uso esclusivo su di un bene comune a favore di un singolo condomino: per capire la portata della risposta negativa cui in ultima istanza sono giunti gli ermellini si deve partire dal dato normativo e stabilire anzitutto che cos’è il diritto reale d’uso.

1) Il diritto d’uso nel nostro ordinamento.

Il diritto d’uso (art.1021 c.c.) è uno dei sette diritti reali di godimento; è molto simile all’usufrutto, perché consente di servirsi di una cosa altrui e, se fruttifera, di trarne i frutti. Ma mentre l’usufruttuario può servirsi della cosa altrui con l’unico limite di non modificarne la destinazione economica, l’usuario ha poteri più limitati, nel senso che può servirsi della cosa altrui, ma solo nei limiti di quanto occorre a lui ed alla propria famiglia

Il diritto d’uso può essere costituito per contratto oppure per testamento; può anche essere acquistato per usucapione sul presupposto di un possesso continuato, pubblico ed indisturbato nel tempo.

Il diritto d’uso è personalissimo, per cui a differenza dell’usufrutto, non può essere né ceduto né dato in locazione (art. 1024 c.c.). Parimenti all’usufrutto non può eccedere in durata la vita dell’usuario e può estinguersi per non uso.

Proprio la non cedibilità a terzi e l’estinzione del diritto per morte del titolare dovrebbe portare ad escludere che su di un bene condominiale si possa costituire un diritto d’uso esclusivo.

2) Gli orientamenti della Corte di Cassazione.

Nel corso degli anni, prima che intervenisse la sentenza qui in commento, si sono registrati due orientamenti di segno opposto.

Un primo orientamento che ammetteva la costituzione di un diritto d’uso esclusivo su di un bene condominiale sotto forma di deroga all’art. 1102 c.c.; per intenderci, l’art. 1102 c.c. è la norma che stabilisce l’uso paritario del bene comune da parte di tutti i condomini.

Un altro orientamento invece lo escludeva in radice, perché diversamente si sarebbe svuotato il contenuto del diritto di proprietà.

Secondo il primo orientamento (si veda Cass. Civ. n.24301/2017) il diritto d’uso esclusivo non corrisponderebbe al diritto d’uso previsto regolato dall’art. 1021 c.c., mentre costituirebbe una deroga all’art. 1102 c.c., cosa che lo renderebbe perpetuo e cedibile a terzi.

Secondo il secondo orientamento (si veda Cass. Civ. n.193/2020), invece, la costituzione per atto tra vivi di un diritto reale atipico, esclusivo e perpetuo non sarebbe possibile, perché priverebbe del tutto di utilità la proprietà e darebbe vita a un diritto reale incompatibile con l’ordinamento.

Il secondo orientamento – quello più condivisibile – si giustifica in particolare:

  • col divieto di costituire diritti reali atipici, ossia non espressamente previsti dal codice civile;
  • col divieto di introdurre un divieto d’uso generalizzato delle parti comuni di un edificio (si vedano Cass. Civ. n.2114/2018; Cass. Civ. n.27233/2013).

La Suprema Corte ricorda come l’art. 1102 c.c. faccia riferimento all’uso della cosa comune. L’uso rappresenta una parte essenziale del diritto di comproprietà ed è uno dei modi attraverso i quali si esercita il diritto dominicale. Possono esistere casi in cui un condomino faccia un uso più intenso della cosa comune rispetto agli altri; la stessa legge ammette che vi siano cose comuni destinate a servire i condomini in misura diversa: si pensi alle scale e agli ascensori. Inoltre, non sempre il bene condominiale può essere impiegato in maniera paritaria, si pensi all’uso frazionato o turnario. 

Inoltre, l’art. 1102 c.c. è una norma inderogabile i cui limiti possono essere resi semmai più severi dal regolamento condominiale ma non possono essere derogati, mentre non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (si vedano Cass. 2114/2018; Cass. Civ. n.27233/2013).

Secondo la Corte di Cassazione, pertanto, non si può attribuire l’uso esclusivo ad un condomino dei beni comuni, perché diversamente si realizzerebbe una totale compressione del godimento degli altri condomini sulla cosa comune e si creerebbe un diritto atipico di uso esclusivo.

3) Diritto d’uso esclusivo: cosa non è.

La Suprema Corte, anziché spiegare in cosa consista il diritto d’uso esclusivo, diffuso solo nella prassi, si sofferma a spiegare cosa non è:

  • non è una servitù;
  • non è un’obbligazione propter rem;
  • non è un diritto reale atipico.

Quanto al primo punto, la coincidenza con la servitù è esclusa dal momento che essa non può tradursi in un diritto di godimento generale ed esclusivo del fondo servente, giacché si determinerebbe lo svuotamento della proprietà di esso. 

La servitù, infatti può determinare una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente da parte del proprietario, ma tale restrizione non può risolversi nella totale elisione delle facoltà di godimento del fondo servente. 

Quanto al secondo punto il diritto d’uso esclusivo non può rientrare neppure nella categoria delle obbligazioni propter rem perché esse non possono avere un’applicazione generale e illimitata, ma sono ammissibili soltanto nei casi previsti dalla legge. Le obbligazioni propter rem sono caratterizzate dal requisito della tipicità, quindi, possono sorgere per contratto solo nei casi e con il contenuto previsti dalla legge.

Quanto al terzo punto è escluso che si tratti di un diritto reale atipico, giacché i privati non possono costituire un diritto reale non rientrante tra quelli tipici già previsti dall’ordinamento.

4) L’eccezione del “lastrico solare” previsto dall’art. 1126 c.c.

La legge prevede un solo caso d’uso esclusivo su di un bene comune a favore di un singolo condomino, e fa riferimento al lastrico solare (art. 1126 c.c.).

Ne segue che la clausola contrattuale che prevede il diritto di uso esclusivo di una parte comune – come potrebbe essere il cortile – ferma restando la titolarità della proprietà del bene in capo al Condominio, non può trovare fondamento nell’art. 1126 c.c. Tale norma che si occupa di una porzione peculiare dell’edificio, infatti, i lastrici solari:

  • svolgono una funzione di copertura dello stabile,
  • sono parti comuni,
  • possono essere oggetto di calpestio,

ma per la loro conformazione ed ubicazione, il calpestio è esercitabile solo da uno o alcuni condomini. In tale circostanza, quindi, l’uso esclusivo del lastrico non priva gli altri condomini del godimento del bene comune.

5) Conclusioni.

Alla stregua dell’iter argomentativo che precede, la Suprema Corte ha posto fine ad un dibattito dottrinale e giurisprudenziale durato anni, arrivando infine a negare che per atto tra vivi si possa costituire un diritto d’suo esclusivo su un bene comune, né sotto forma di deroga all’art. 1102 c.c. che – come sopra ricordato – è norma di rango primario e non è derogabile, né sotto forma di diritto reale atipico stante al contrario la tipicità ed il numero chiuso dei diritti reali, né sotto forma di servitù perché nessuna servitù può privare il titolare del fondo servente del potere – anche residuale – di disporre del proprio bene; se ciò accadesse si svuoterebbe del tutto il contenuto del diritto di proprietà ed agli altri comproprietari non resterebbe che una scatola vuota priva di contenuto.

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(a cura di Avv. Luca Conti)

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